Covid-19 e bambini: come parlarne?



La pandemia legata alla malattia da Coronavirus COVID-19 ha generato dei cambiamenti rapidi nel modo di vivere; le conversazioni sui social media e sui mezzi di comunicazione tradizionali sono quasi del tutto monopolizzate sugli aggiornamenti sulla pandemia, e i bambini sono esposti ad una grande quantità di informazioni e sono a contatto con adulti che hanno livelli di ansia e stress più alti del solito. Allo stesso tempo, i bambini si sono ritrovati a dover modificare in maniera drastica le loro abitudini di vita: niente scuola, niente contatti sociali con familiari e amici, niente attività all’aperto.

I genitori farebbero qualunque cosa per proteggere i loro figli da stress e situazioni ed emozioni negative. Tuttavia, la ricerca scientifica ha mostrato che perfino i bambini di 2 anni hanno consapevolezza dei cambiamenti che avvengono intorno a loro.

La capacità di comprensione dei bambini si modifica e subisce un’evoluzione nel corso degli anni, fino all’adolescenza. Pertanto, quando gli adulti parlano ai bambini, devono tener conto dell’età del bambino e il suo livello di abilità di ragionamento. Discutere con i bambini in maniera efficace ma con tatto di qualunque tematica, anche quella legata ad una malattia potenzialmente pericolosa, ha dei benefici a lungo termine sia per i bambini che per le loro famiglie.

I bambini hanno bisogno di informazioni veritiere in merito a ciò che sta avvenendo; in mancanza di informazioni, invece, cercando di dare un senso alla situazione da soli, giungendo a conclusioni – a volte – completamente errate.

Tenere conto dello stadio di sviluppo del proprio figlio è fondamentale, perché così la comunicazione è efficace e si riduce il rischio di sottostimare o sovrastimare le loro abilità di ragionamento. Se si comunica con dei bambini più piccoli non bisogna solo semplificare lo stile di linguaggio o dei concetti, ma bisogna accertarsi che il bambino comprenda i concetti di malattia e di causalità. Tra i 4 e i 7 anni il ragionamento del bambino è influenzato dal pensiero magico: in questa fase un bambino può ipotizzare che i pensieri, i desideri, o azioni non correlate tra loro possano causare eventi esterni. Per esempio, una malattia potrebbe essere causata da un particolare pensiero o comportamento. L’emergere del pensiero magico avviene più o meno nello stesso periodo in cui i bambini sviluppano un senso di coscienza, ma in quella fascia d’età hanno ancora difficoltà nel capire come si diffonde una malattia. Per questo motivo gli adulti dovrebbero intervenire se i bambini iniziano ad incolparsi di ciò che è avvenuto, o se sentono che la pandemia è una punizione derivante da un loro comportamento.

È fondamentale, quindi, che i genitori ascoltino cosa pensano i bambini riguardo la trasmissione del COVID-19, e che a loro volta gli spieghino cosa sta succedendo: un’informazione chiara li aiuterà a non sentirsi impauriti o in colpa.
L’incertezza sulla pandemia a livello personale e globale sta generando grandi preoccupazioni, e a questo si aggiungono anche gli effetti psicologici legati alla quarantena. I bambini sono capaci di percepire gli stati emotivi degli adulti. Essere esposti a comportamenti inspiegabili ed imprevedibili è percepito dai bambini come una minaccia, e ciò può generare ansia. Non è detto, però, che l’ansia venga espressa nello stesso modo degli adulti. Anche bambini che hanno meno di 2 anni si accorgono dell’assenza dei loro caregiver abituali (per esempio, i nonni) e potrebbero mostrare irrequietezza per comunicare ansia. Al contrario, bambini più grandi e adolescenti potrebbero avere atteggiamenti aggressivi o polemici.

Anche se gli adulti spesso desiderano sapere cosa provano i bambini, può capitare spesso che non siano in grado di fornire un esempio pratico, di non mostrare ai bambini come si comunica all’altro le emozioni che si stanno provando in un dato momento. Gli studi hanno dimostrato che in situazioni simili a quelle che stiamo vivendo ora col COVID-19 molti genitori tendono ad usare un linguaggio tecnico e privo di connotazioni emotive per provare a minimizzare lo stress dei figli. Purtroppo, però, evitare completamente di parlare di emozioni potrebbe avere un effetto opposto e generare ansia. Il bambino potrebbe evitare a quel punto di condividere le proprie preoccupazioni, perché non gli è stato insegnato a farlo, e si ritroverebbe a fronteggiare da solo le proprie emozioni negative.

Cosa bisogna fare, allora? È necessario trovare un punto di equilibrio: bisognerebbe dire la verità su alcuni aspetti legati all’incertezza della situazione e sulle difficoltà di tipo emotivo che ci si trova a vivere, ma senza cadere nell’eccesso opposto, riversando sui bambini tutte le proprie paure e preoccupazioni. Essere onesti non solo offre una spiegazione coerente al bambino, ma li aiuta a loro volta a parlare delle proprie sensazioni ed emozioni. Normalizzare le loro reazioni emotive e rassicurare i bambini sul fatto che la famiglia sarà di supporto in questo periodo li aiuterà a contenere l’ansia e ad evitare problematiche di tipo psicologico non solo a breve termine, ma anche a lungo termine.


Fonte: The Lancet Child & Adolescent Health

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